giovedì 5 febbraio 2015

TACCHETTO 12, LO SPECIALE DELLA FESTA DI SANT'AGATA

A voi un nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12", oggi uno speciale interamente dedicato alla Festa di Sant'Agata, senza dubbio l'evento più importante della città di Catania. Godetevelo e buona festa a tutti! :)


SPECIALE: FESTA DI SANT'AGATA



«Semu tutti devoti tutti?» urlò uno dei portantini delle Candelore di Sant'Agata.
«Tutti devoti tutti!» risposero in coro i cittadini.
Le Candelore, uno dei simboli più importanti della festa cittadina, splendevano del loro oro luccicante tra la folla di fedeli che riempiva le strade come un fiume in piena. Ognuna a simboleggiare una categoria diversa di lavoratori erano nate in principio come dei veri e propri ceri, che con l'aggiunta di sempre nuove candele erano andati ingrossandosi a tal punto da essere poi sostituiti del tutto dal legno tinteggiato d'oro e riccamente adornato.
In mezzo alla folla cercavano di farsi spazio Antonio, Alessandro e Davide, che quella mattina si era unito ai due amici per celebrare la Santa. Tra i fedeli avevano poi incontrato Fabrizio vestito del "sacco agatino", il tipico abbigliamento dei devoti composto da tunica e guanti bianchi, copricapo nero, cordoncino da legare alla vita e fazzoletto da legare al collo. Sorpreso nel vederli al di fuori del campo da calcio si mostrò schivo e dopo un rapido e freddo saluto si allontanò per andare chissà dove.
«Ma che aveva?» chiese Davide. I due si strinsero nelle spalle.
«Più tardi ce la prendiamo una cassatella di Sant'Agata?» fece Alessandro.
«E guanto sei formale! Ghiamale minne!» replicò Antonio soffiandosi il naso. Dal primo allenamento della squadra si era preso un bel raffreddore ed era da una settimana che non faceva altro che consumare fazzolettini.
«Sei solo invidioso perché non puoi sentirne il sapore» ribatté Alessandro con un sorrisino. Antonio lo guardò torvo.
«Io ci sto, ho bisogno di zuccheri» rispose Davide.
«Ma non dicevi ghe eri a dieta?» fece Antonio con gli occhi lucidi e il naso arrossato.
«Tanto per quanto ci provo non calo mai di peso e comunque una minnella non mi può far male.»
«Si comincia sempre con una» rispose Alessandro sarcastico, «Avanti, andiamo a farci di saccarosio.» Prese i due sottobraccio e si spinse fuori dalla folla per raggiungere il bar Savia.
Ordinate le minnette se le fecero confezionare da portar via, poi dirigendosi verso il Giardino Bellini che si trovava proprio di fronte, sedettero a uno dei lati della grande scalinata dell'ingresso e le scartarono delicatamente come in un cerimoniale. Le guardarono avidamente, non avevano mai desiderato tanto dei seni come allora. Di quelle paste zuccherate ne parlò anche il Tomasi di Lampedusa nel romanzo gattopardesco, col principe Salina che sorpreso si chiedeva come mai non fossero stati proibiti dei dolcetti rappresentanti dei seni recisi. Un simbolo al contempo forte e scandaloso, ma che veniva spesso prodotto nei conventi.
«Sant'Agata dovrebbe essere innalzata a simbolo della violenza sulle donne in un periodo come quello in cui stiamo vivendo oggi» esordì Davide osservando la cassatella sul vassoietto di cartone.
«Hai perfettamente ragione» rispose Alessandro. «Quanto sono buone!» esclamò poi addentandone una.
«Sei brobrio uno sdronzo» fece Antonio asciugandosi il naso e guardando quel dolcetto con una malinconia disarmante. «Brobrio adesso mi dovevo raffreddare!»
«Dai, sta scherzando non sono poi tutto sto granché» lo rassicurò Davide, che senza troppa decenza fece però un occhiolino ad Alessandro che se la rise sotto i baffi.
«Lo sapevate che questa festa prende origine da riti pagani?» disse poi quest'ultimo.
«Davvero?» fece Davide azzannando una minnetta. «Mmm!» Poi rivolse gli occhi verso Antonio che lo stava incenerendo con lo sguardo. «Oops... scusa.»
Alessandro terminò il proprio dolcetto e si leccò le labbra screpolate dal freddo.
«Sì, pare sia nata dalle tradizioni dei pagani nel celebrare la dea egizia Iside. Quest'ultima legata anche al mito di Proserpina, la moglie del dio degli inferi, con cui Iside veniva appunto identificata. Quando ci fu il martirio di Sant'Agata pian piano la sua commemorazione finì col sostituire il culto di Iside e le due celebrazioni vennero unite in una sola.»
«E tu come le sai tutte 'ste cose?» chiese Davide incuriosito.
«Ne parla Apuleio nelle Metamorfosi. Non hai idea di quanti punti in comune ci siano tra le due feste. Il rito di portare la statua di una vergine in giro per la città, adornata di...»
«Basta! Sei brobrio un secchione!» lo interruppe Antonio stropicciandosi gli occhi che lacrimavano.
«Non ti commuovere dai, vedrai che passerà.»
Antonio gli rifilò una gomitata e Davide se la rise di gusto.
«Che piccioncini!» esclamò. «Da quanto state assieme?»
I due rimasero imbambolati e sbatterono le palpebre increduli.
«Non stiamo assieme» rispose imbarazzato Alessandro. Davide allora arrossì e si scusò.
«Beh, buon per me» disse involontariamente senza pensarci troppo. «Volevo dire per noi» si corresse subito arrossendo di nuovo.
Antonio e Alessandro si lanciarono un'occhiata complice. Si chiesero chi dei due fosse l'oggetto del suo interesse.
«In ghe senso?»
Davide sgranò gli occhi e non seppe più che dire.
«Ma guarda lo abbiamo imbarazzado!» se la rise Antonio.
«Nel senso che così possiamo uscire tranquillamente senza la rottura di fidanzati gelosi» spiegò quindi Davide.
«Certo, certo» fece Alessandro con un sorrisino.
«È vero!»
«Andiamo va, che sennò ci perdiamo la festa» propose quindi Alessandro tirando per il braccio i due e trascinandoli giù per la scalinata.
In quel momento nel mezzo della strada le Candelore facevano la loro danza oscillatoria, cincinnando con le decorazioni poste ai lati al ritmo della fanfara. Si trovarono proprio di fronte alla Candelora dei giardinieri, sulla cui cima sovrastava una corona.
Era solo il terzo cereo nella processione per cui non erano distanti dall'inizio del corteo, ma l'immensa folla era talmente fitta che non lasciava spazio per inoltrarsi e passare avanti. Fu così per quasi tutto il giorno e stufi di quella pressante situazione claustrofobica decisero di tenersi fuori dalla calca finché non si fosse fatta sera, quando avrebbero dato inizio allo spettacolo pirotecnico.
Intrappolati in mezzo alla folla rimasero quindi in attesa dei fuochi. Muoversi era quasi impossibile, talvolta capitava anche di essere trascinati involontariamente, dandoti la sensazione di essere sospinto in alto.
Antonio ricordò quando da bambino i fuochi d'artificio gli facevano paura - era a causa del rumore e per guardarli più tranquillamente suo padre lo issava sulle spalle e gli poggiava le mani sulle orecchie. Crescendo aveva poi superato la paura, ma non aveva smesso di tapparsi le orecchie.
Ora quelle fiamme colorate nel cielo lo entusiasmavano e commuovevano. Piccoli universi colorati, miniature di Big Bang in espansione, floreali scoppi celesti. Alessandro notando il suo sguardo lucido e sorridendo tra sé gli scostò le mani dalle orecchie e tornò con gli occhi verso il cielo. I fuochi d'artificio furono spettacolari e la musica di Vivaldi in sottofondo con la sua "Estate" rese lo spettacolo ancora più emozionante. Quindi rassicurato dal fatto che Antonio non avrebbe respinto il gesto in un momento tanto emozionante, gli prese la mano e gliela strinse.
In un primo momento pensò non se ne fosse nemmeno accorto, ma quando spostò per un attimo lo sguardo verso di lui lo vide sorridere e allora capì che aveva apprezzato il gesto.
Restarono in piedi tutta la notte e verso le cinque e mezza del mattino del 4 febbraio - col sonno che si faceva prepotente, ma col desiderio di restar svegli -, assistettero all'apertura della cammaredda, ovvero il sacello che custodiva il busto reliquiario della Santa. Un grande applauso accolse la vista del busto interamente rivestito di ori e gioielli. I devoti alzarono quindi i fazzoletti di un bianco candido sventolandoli in segno di saluto alla Santa. Era un momento emozionante per tutti. Sant'Agata col suo visino perfetto scolpito nell'argento sembrava quasi far capolino attraverso le inferriate. Allora la gente si commuoveva, applaudiva e poi si chiudeva in preghiera.
Dopo la messa, in cui si chiusero in rispettoso silenzio, partì il pellegrinaggio dei devoti al seguito del fercolo.
La lettiga in argento portava il busto della Santa per le strade della città. Era circondata di fiori rosa a simboleggiare il martirio, che sarebbero poi stati sostituiti il giorno successivo con quelli bianchi che indicavano invece la purezza e la santità acquisita da Agata.
Un tappeto umano affollava le vie coi tipici sacchi, formando una marea bianca che si spingeva verso il fercolo per affidare i ceri, simbolo di luce. Donati dai devoti e accesi sul carro argentato erano un modo per ringraziare la Santa dei benefici ricevuti. In cambio ricevevano fiori e immaginette sacre.
Venivano comprati diversi tipi di ceri in base al voto fatto, essi potevano quindi variare in peso, altezza e grandezza. Più grande era il voto richiesto più il cero era vistoso.
I tre si spinsero in mezzo alla folla per avvicinarsi a loro volta e lasciare i piccoli ceri acquistati. Ma i catanesi si erano addensati talmente tanto alla lettiga che era quasi impossibile camminare o sposarsi anche solo di qualche centimetro. Così Davide prendendo lo slancio e non trovando altra soluzione, afferrò i due amici per mano e tenendo salda la presa si addentrò nella calca spingendo e sgomitando anche in modo un po' maleducato. Riuscì però nell'intento e cercò per quanto gli fu possibile di avanzare e avvicinarsi. Consegnate le candele ricevettero in cambio dei garofani rosa.
«Cittadini! Cittadini! Evviva Sant'Aita!» urlò uno dei devoti sopra il fercolo.
«Direi che adesso ci serve un'altra dose di zuccheri» fece Davide. «Al diavolo la dieta!»
Presso un venditore ambulante comprarono le olivette di Sant'Agata, dolcetti di pasta di mandorla verde che traevano la loro origine dalla leggenda secondo cui durante il tragitto verso il martirio Agata fosse inciampata in un ulivo privo di frutti che improvvisamente cominciò a riempirsi di olive. Da lì il colore e la forma di quei dolcetti deliziosi, della stessa consistenza dei marshmallow ma decisamente più ricchi di sapore.
«Ehi guardate, c'è Fabrizio!» esclamò Antonio. Videro il loro compagno di squadra tutto solo cercare di addentrarsi tra la folla. «Vado a ghiarmarlo» disse mettendosi a correre.
«Aspetta!» urlò Alessandro, ma Antonio era già partito in quarta.
Davide fermò Alessandro che si era preparato a inseguirlo e scosse la testa.
«Ormai è spacciato» disse grave, «Non lo vedremo più per oggi.» E come se lo avesse previsto lo videro sparire in mezzo alla folla e non uscirne più. Alessandro spostò lo sguardo su Davide e sorrise.
«Siamo rimasti in due, mi sa.»
«Eh sì» rispose Davide con un sorriso. «Andiamo a prendere un caffè?» propose, «Ho bisogno di qualcosa per tenermi sveglio o crollo.»
Alessandro accettò volentieri.

Antonio smarritosi in mezzo alla gente si guardò attorno e realizzò di essere rimasto da solo. "Furbo lui!" pensò indispettito. "Ne ha approfittato per restare da solo con Davide."
In quel momento nella calca scorse il volto di Fabrizio e lo chiamò. Questi sentendosi chiamare così animatamente sgranò gli occhi e dopo essersi accorto di Antonio si nascose in mezzo alla folla. Quest'ultimo, stringendo gli occhi ancora più indispettito, non si diede per vinto e lo seguì. Dopo essersi fatto calpestare, sgomitare e trascinare riuscì finalmente a uscire e gli andò a sbattere praticamente contro.
«Ehi!» esclamò sistemandosi la sciarpa che nella ressa gli era quasi finita ai piedi. «Si buò sapere che cazzo ti brende?»
Fabrizio lo guardò costernato e lo tirò in disparte.
«Sono qui con i miei amici etero.»
Antonio rimase per qualche istante intontito, poi annuì.
«Sgusa non l'avevo gapito. Guindi a loro non l'hai detto ghe sei gay?»
Fabrizio si irrigidì.
«Forse è meglio che facciamo due chiacchiere» disse poggiandogli una mano sulla schiena e incamminandosi per via Sangiuliano.
La festa continuò nello spirito di devozione che abbracciava tutto il popolo catanese. Con la stessa fede che aveva portato a generosi miracoli da parte della Santa, come quando era stata chiesta la grazia durante il terremoto o quella volta che aveva fermato la colata lavica dell'Etna grazie al velo agatino tra le preghiere dei fedeli.
La fede in fin dei conti è un po' come una partita di calcio, in cui Sant'Agata rappresenta l'allenatore che guida e sprona i fedeli-giocatori a dare il meglio di sé e a impegnarsi per ottenere grandi risultati nella vita come nel gioco.

#FabDraka #GayCalcio #Tacchetto_12_Speciale-di-Sant'Agata



Nessun commento:

Posta un commento