giovedì 19 febbraio 2015

TACCHETTO 12 - CAPITOLO 9: L'UNIONE FA LA FORZA

Il nono capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12". Tutto da gustare :)

9
L'UNIONE FA LA FORZA



I ragazzi si erano dati appuntamento al campetto del primo allenamento. Cesare aveva previsto di prenderlo in affitto due giorni a settimana per tre ore pomeridiane, e anche se quel pomeriggio non avevano allenamenti in programma, Antonio aveva insistito molto inviando a tutti un messaggio per incontrarsi. Sembrava una cosa davvero urgente tanto non stava nella pelle.
Quando al campo si erano ritrovati tutti tranne lui, avevano cominciato a pensare che fosse uno scherzo o qualcosa del genere. Poi lo videro spuntare all’improvviso. Non aveva la tuta e portava con sé una grande busta nera, di quelle usate per l’immondizia.
«Non vorrai giocare così spero» gli disse Cesare alludendo ai suoi jeans e stivaletti.
Antonio sorrise. «Ho qualcosa di meglio» rispose. «Ho una sorpresa per voi» aggiunse frugando dentro la busta. Ne tirò fuori una maglia da calcio. Era dai colori sgargianti, quasi del tutto blu con le maniche e i lati fucsia, il colletto viola e numero e nome scritti dietro in bianco.
«Una maglia?» chiese scettico Manolo.
«La nostra maglia!» esclamò vivace Antonio. «Le ho fatte io. Non ho pensato ad altro questa settimana.»
Alessandro lo osservò e provò un senso di sollievo. Ora si spiegava il motivo per cui quella settimana era stato evasivo e distante, pensava fosse dovuto al loro battibecco.
Gli andò incontro, seguito da Cesare e poi tutti gli altri. Ognuno prese la propria e in molti capirono il motivo di quelle occhiate insistenti e delle domande indiscrete sulle misure del cavallo, fianchi, ecc...
Cesare lo fissò, il suo sguardo era acceso, entusiasta. Sorrise visibilmente contento mentre teneva fra le mani la maglia di Antonio, quindi gliela consegnò come in un cerimoniale ufficiale.
«Non mi sono scordato di te, mister» disse il ragazzo frugando ancora dentro la busta. Cesare lo guardò sorpreso e gli vide tirar fuori una sciarpa di lana fatta a mano con gli stessi colori delle maglie.
«Questa non l’ho fatta io, ma mia sorella. Lei mi ha dato una mano anche con i modelli delle maglie.»
«Ti ringrazio di cuore Antonio. È bellissima.»
«Ora siamo una vera squadra» disse il ragazzo tendendo la sua maglia come uno stendardo.
«Perché hai scelto proprio questi colori?» chiese Manolo con sdegno.
«Perché ho pensato che i colori della bandiera bisex fossero più adatti alla nostra squadra» rispose titubante Antonio.
«E perché scusa? Siamo tutti gay no?» chiese Davide. «O c'è qualche bisex?»
Antonio rivolse una veloce occhiata a Fabrizio e questi gli fece segno di non preoccuparsi.
«In effetti io non sono gay» confessò.
«Si vede, sei il più macho fra tutti» replicò Manolo. Cesare gli rivolse un'occhiataccia di disapprovazione. «Che c'è? È vero.»
«Intende dire che è etero» fece Alessandro col dente avvelenato.
I ragazzi guardarono confusi Fabrizio e questi assentì col capo. Erano tutti sbalorditi.
«Davvero Fabrizio?» chiese Cesare incredulo. Il ragazzo annuì nuovamente. «E nonostante tutto sei stato disposto a giocare in una squadra gay col rischio di essere confuso per uno di noi?»
«Il calcio è tutto per me. Non potrei vivere senza. E poi mica siete degli appestati, all'inizio devo essere sincero, un po' paura ce l'avevo, ma poi mi sono reso conto che non avete nulla di diverso da me, beh a parte che vi piace il...»
«Ma è fantastico! Questo è un grande segno di accettazione e tolleranza nei nostri confronti» esclamò entusiasta Cesare.
«Spero che questo non cambi le cose.»
«Assolutamente. Sei sempre stato gentile e rispettoso con noi e faremo altrettanto. Vero ragazzi?» li incitò con foga.
«Sì!» esclamarono in coro.
Recandosi agli spogliatoi tutti contenti si scambiarono pareri sulla divisa. Seppure non tutti i membri fossero d’accordo sui colori scelti da Antonio, si trovarono subito d'accordo sulla qualità del tessuto: traspirante, leggero, elasticizzato. Si resero conto che avrebbero giocato molto più agilmente che con le tute usate prima e il fatto di dare davvero l'impressione di essere una squadra li entusiasmava. Antonio aveva fatto davvero un ottimo lavoro.
Poi cominciarono a spogliarsi mettendo in mostra i fisici snelli e scolpiti. Fabrizio aveva muscoli scultorei, degni di una statua greca. Era l'unico insieme a Manolo a essere muscoloso. Antonio non gli aveva staccato gli occhi di dosso per nemmeno un attimo. Gran parte dell'urgenza dell'incontro era dovuta anche a quello.
«Se continui a fissarlo così lo farai sentire a disagio e finirai col farti fuoriuscire gli occhi dalle orbite» gli disse Alessandro sottovoce avvicinandosi a lui. Non si era ancora tolto la maglietta, quasi fosse restio nel mostrarsi a petto nudo.
«Con te non ci parlo» rispose seccato Antonio spostando lo sguardo verso la propria sacca. «Non sei stato carino a spifferare tutto in modo così indelicato.»
«Ma lo stava già dicendo lui... E poi pensavo ti fosse passata l'arrabbiatura.»
«Dimentichi in fretta. Io no. Devo cambiarmi, lasciami in pace.»
Alessandro deluso e amareggiato si spostò poco più in là e cominciò a spogliarsi. I ragazzi nel vederlo rimasero sorpresi. Vedendolo sempre completamente in tuta lo immaginavano fiacco e gracilino, invece anche lui - seppure appena percettibilmente - possedeva un fisico snello e asciutto.
«Però!» commentò Davide lisciandogli l'addome con un dito. «Chi l'avrebbe mai detto?»
Manolo avvampò di rabbia e Alessandro arrossì indossando velocemente la maglia.
Rimasero ancora più sorpresi nel vedere proprio Davide, che era quasi interamente ricoperto di tatuaggi. Su spalle e tricipiti aveva due tigri e una geisha in posa sensuale. Sulla scapola un angelo rannicchiato su se stesso attorno al quale era avvinghiato un serpente che scendeva giù sul dorsale quasi fino all'insenatura dei glutei. Sui pettorali aveva invece tatuato un colibrì e il volto di un bambino.
«Accidenti!» esclamò Alessandro. Fabrizio mostrò quindi il proprio tatuaggio: una pantera che sbucava fuori dai boxer per metà.
«E se uno volesse vedere l'altra metà?» chiese con malizia Antonio.
«Basta chiedere» rispose Fabrizio abbassando leggermente i boxer. Antonio strabuzzò gli occhi.
«Bel... bel tattoo» riuscì a commentare soltanto.
«Anch'io ne ho uno, ma è piccolissimo» mostrò il polso, su cui era tatuato un ideogramma giapponese che significava "lotta".
«Lo avevo già notato» disse Davide. «Come avrai capito amo i tatuaggi» aggiunse indossando la divisa. Oltre alla maglia Antonio aveva anche creato i pantaloncini. Erano del tutto fucsia con il solo bordo blu sulle cosce.
Anche se a primo impatto dava l'impressione di una divisa poco mascolina, indossandola si resero conto che l'effetto era invece del tutto inaspettato. Ci si trovarono subito a loro agio, anche Fabrizio - che in un primo momento era stato un po' restio e che solo per non fare dispiacere ad Antonio aveva acconsentito a indossarla.
Iniziarono una partita, questa volta Fabrizio avrebbe giocato in squadra con Davide, Manolo con Alessandro. Cesare aveva notato un certo astio tra i giocatori e aveva ben pensato di usarlo per incentivare i ragazzi a battere il proprio avversario.
Il gioco fu infatti abbastanza accanito. Gli attacchi di Fabrizio e Manolo non intaccarono particolarmente la difesa costituita da Alessandro e Davide. Finì in parità, anche perché Antonio sembrava ancora particolarmente impacciato nell'evitare i tiri in porta di Fabrizio e soprattutto di Manolo, di cui non aveva ancora dimenticato l'onta subita.
Cesare tuttavia continuava a provare una certa difficoltà nell'addestrare una squadra così poco numerosa, così a fine partita si riunirono negli spogliatoi per una riunione.
«Ragazzi, abbiamo bisogno di più organizzazione. Ve lo chiedo per piacere. Chiedete in giro tra amici e conoscenti. Ci serve più gente per giocare. Avete visto anche voi quanto sia complicato continuare così.» Fece una pausa e parve voler raccogliere i pensieri. «Io sto cercando di fare del mio meglio per trovare una squadra avversaria con cui gareggiare, ma l'Arcigay non mi sta dando molto aiuto a riguardo e al momento non ho altre risorse. Per cui vi chiedo di fare uno sforzo. Sarò poi io a valutare la serietà di chi porterete, ma vi chiedo una mano. È nel vostro stesso interesse. Giocheremo meglio una volta che saremo aumentati di numero. E vi prometto che mi impegnerò al massimo affinché questa squadra arrivi ad alti livelli.»
Tese una mano sospesa a mezz'aria.
«Siete con me?» chiese fiducioso.
Fabrizio poggiò la mano sulla sua e gli fece un occhiolino. Antonio lo seguì e fece lo stesso.
«Sono con te» rispose Alessandro aggiungendo la sua.
«Anch'io» fece Davide.
Tutti osservarono Manolo. Se ne stava in disparte, assorto nei suoi pensieri, guardando quel mucchio di mani accavallate. Fissava quella di Davide che sovrastava su tutte e sospirò.
«Sei con noi, querido?» chiese dolcemente Cesare destandolo dai suoi pensieri.
Manolo lo fissò dritto negli occhi, poi spostò lo sguardo sui ragazzi e infine su Davide.
«Joder, seguro que sì!» Appoggiò la sua mano su quella di Davide provando un brivido lungo la schiena. I due si scambiarono un'occhiata fugace, poi rivolsero lo sguardo verso il gruppo.
«Uno per tutti, tutti per uno» disse Cesare con orgoglio osservando ognuno di loro.


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