venerdì 30 gennaio 2015

TACCHETTO 12, CAPITOLO 7: QUESTIONE DI SGUARDI

Il settimo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12", ringrazio tutti voi che state seguendo il mio lavoro su questa storia :)

7
QUESTIONE DI SGUARDI



I ragazzi si disposero in fila sul limite del campetto di calcio. Il gruppo che si trovò davanti Cesare appariva adesso ancora più eterogeneo. Ognuno di loro aveva esperienze diverse in campo, ma ciò che lo aveva colpito quel pomeriggio era il vedere ognuno con una tuta diversa. Chi nera e corta coi calzini bene in vista a mo' di calciatore, chi lunga e blu, i restanti indossavano semplicemente maglietta bianca e pantaloncini. La differenza d'altezza tra giocatori acuiva poi quello strano effetto ottico. Non era più abituato, i pulcini avevano la loro divisa, e quello spettacolo era un po' spiazzante, ma decise di concentrarsi sui fatti. Ci sarebbe stato tempo per organizzare la squadra con una maglia comune. Solo uno di loro indossava il completo da calcio, Fabrizio, l'unico che avesse giocato tra i professionisti. Fu nel vederlo in quelle vesti che Cesare - non informato sulla verità degli eventi - si chiese quanto quel ragazzo avesse sofferto nel ritrovarsi troppo grande per continuare a giocare in una squadra professionale. Per lui questo non costituiva un problema, chiunque era ben accetto in squadra, l'età aveva poco conto se c'era il talento e la voglia di mettersi in gioco.
«Bene ragazzi, oggi cominceremo questo percorso assieme. Alcuni di voi non hanno molta esperienza in questo sport, ma non preoccupatevi, saprò aiutarvi a sviluppare le vostre capacità e sfruttarle al massimo per rendere questa squadra degna di essere chiamata tale.»
Cesare passeggiava avanti e indietro davanti a loro. Sembrava una di quelle scene da camerate, come quando il sergente Hartman di Full Metal Jacket fece il discorso iniziale alle reclute.
Sostò qualche istante davanti Davide e questi si irrigidì. La notte del primo incontro della squadra si era reso conto di aver commesso un grave errore nel baciare Manolo.
Seduti ai due lati opposti del bancone del Nievski, Davide e Manolo si erano lanciati un'occhiata furtiva e rapido quest'ultimo aveva spostato lo sguardo altrove. Era stato quel gesto a far intuire a Davide che c'era qualcosa che non andava e capì di cosa si trattava quando Cesare lo presentò come suo boyfriend. Davide aveva sorriso sotto i baffi - letteralmente -, ritenendo di essersi cacciato in una situazione assurda. Adesso però non aveva più tanta voglia di ridere, anzi si vergognava sempre più per il contesto imbarazzante che si era venuto a creare. Non era uno sfascia-coppie - e Cesare gli sembrava sempre più un bravo ragazzo -, eppure sentiva di aver innescato in qualche modo una molla.
Ora ascoltava il loro allenatore mentre spiegava l'idea della squadra e come avesse intenzione di svilupparla. Finché non avessero avuto a disposizione un numero maggiore di giocatori avrebbero seguito lo schema e le regole del calcio a cinque pur dovendo giocare fra di loro. Inizialmente ci sarebbero stati gli allenamenti basilari e in seguito - quando fossero stati pronti - Cesare avrebbe cercato, per quanto possibile, di trasmettere al gruppo le linee guida nell'ambito tecnico-tattico tenendo in considerazione le caratteristiche di ogni giocatore.
Vennero prima di tutto delineati i rispettivi compiti in base alle esperienze maturate e secondo i ruoli precedentemente ricoperti. Così fu stabilito che Antonio stesse di porta, Alessandro come difensore, Fabrizio e Manolo attaccanti e Davide centrocampista. Cesare li avrebbe anche fatti scambiare di tanto in tanto e se in seguito avesse notato particolari talenti in differenti ruoli allora avrebbe usato schemi diversi e li avrebbe potenziati in tal senso.
Mentre Cesare parlava loro di tutte queste cose, Davide si sentiva mancare il respiro. Era lì, proprio di fronte a lui, a fissarlo dritto negli occhi come se lo stesse mettendo alla prova, i suoi nervi prima o poi - ne era certo - avrebbero ceduto e a quel punto sarebbe stato scoperto. Cercò di non vacillare e di non lasciar trasparire insicurezza dal proprio sguardo. Cesare proseguì la sua camminata e Davide chiudendo gli occhi tirò un sospiro di sollievo.
«Non è un caso che tu sia stato scelto come difensore, eh?» fece Antonio dando una leggera gomitata al fianco di Alessandro. «Difensore in tutti i sensi, mio eroe» disse battendo le ciglia come un cartone animato.
«Ma smettila» replicò lusingato l'amico.
«A che si riferisce?» chiese Davide.
«Ha sventato una rapina la sera dell'incontro con Cesare» rispose Antonio eccitato.
«Davvero?» fece Davide sorpreso.
«Ho solo messo k.o. un delinquente. Lo fa sembrare come se fosse chissà che...» fece Alessandro arrossendo. «Chiunque si sarebbe comportato come me in quella situazione.»
«No, non tutti rischierebbero la propria vita per difendere qualcun altro. Sei un vero amico» rispose Antonio stringendosi al suo braccio.
Mentre iniziavano il riscaldamento con la coda dell'occhio Davide si accorse che Manolo lo stava fissando da lontano. Pensò che era incredibilmente indiscreto da parte sua. In quel modo non faceva altro che peggiorare le cose, per cui decise di ignorarlo e comportarsi come se nulla fosse accaduto.
Iniziarono una partita di prova. Lo scopo ovviamente era segnare il più possibile. Vennero divisi in squadre da due, giocando come se formassero un'intera squadra. Manolo avrebbe giocato con Davide e Fabrizio con Alessandro. Non potendo fare altrimenti quello costituiva un allenamento arduo ed estenuante sia per i ragazzi che per Cesare. Realizzò quanto fosse complicato guidare una squadra con così pochi giocatori e si disse che avrebbe dovuto trovare al più presto una soluzione anche a quel problema e scovare squadre amatoriali per uno scontro. Sarebbe servito per stimolare maggiormente i ragazzi e spingerli a incrementare le proprie potenzialità nel gioco vero e proprio.
La partita iniziò in modo parecchio precipitoso. Manolo sembrava animato da una strana agitazione e seppure Fabrizio fosse più esperto di lui in quanto a tecnica, riuscì a destabilizzarlo. Segnò più volte, anche Antonio sembrava non riuscire a stargli dietro e prevedere le sue mosse. Non esultava nemmeno, quasi ritenesse scontata la vittoria o non gli desse troppo peso, o magari perché intendeva farsi notare senza però risultare uno sbruffone.
«Sei sicuro di voler fare il portiere?» esordì poi sprezzante rivolgendosi ad Antonio. «Sei bassino.»
Antonio lo guardò torvo. «Anche Giovinco è basso, eppure lo fanno giocare no?» replicò.
«Sì, ma lui non è portiere. Pensi di farcela a coprire la porta?» Si mise a ridere, trascinando con sé i risolini degli altri compagni. Antonio digrignò i denti e cercò di contenere la rabbia.
«L'importante è che abbia una buona presa» commentò quindi Fabrizio, «Non conta l'altezza» aggiunse per tacere la provocazione di Manolo.
«Se riuscisse a prendere una palla forse» replicò questi sdegnato.
«Dagli almeno occasione di dimostrare il contrario» intervenne quindi Cesare.
«Beh, sì» disse quindi Manolo con la coda tra le gambe, «Stavo solo scherzando.»
Antonio gli rivolse un sorriso acido e Fabrizio diede una pacca sulla spalla del compagno di squadra per rincuorarlo. Questi gli rivolse un sorriso debole e poi tornò a fissare truce Manolo.
La partita riprese, ma non si videro netti miglioramenti in Antonio. Pur non essendo un campione Manolo riusciva comunque a far sì che non riuscisse a prendere la palla.
«Così è troppo facile!» sbottò a un certo punto. «Non ne prende una. Non potevi trovarne uno meglio?» si rivolse a Cesare mettendolo in difficoltà.
«Perché non vieni tu qui se sei più bravo?» replicò Antonio risentito.
Cesare capì che si stava sconfinando in un terreno pericoloso e cercò di placare gli animi.
«Ragazzi, calmatevi. È solo la prima partita che giochiamo, ci stiamo ancora riscaldando.»
«Questo qui mi sa che ha preso proprio fuoco!» esclamò acido Antonio.
A Davide scappò una risatina. Manolo avvampò dalla vergogna e con una pallonata mandò al tappeto Antonio che colpito dritto allo stomaco si accasciò per terra dolorante.
I ragazzi accorsero subito ad aiutarlo.
«Stai bene?» chiese Alessandro preoccupato. Antonio tossì e poi annuì.
«Manolo, ma che diavolo ti prende?!» gli urlò contro Cesare.
Il ragazzo lo fissò senza rispondere, dal suo volto traspariva una rabbia che non gli aveva mai visto prima.
«Sei una carogna» gli disse Antonio.
«Si può sapere cosa c'è che non va con te?» gli chiese Fabrizio minaccioso. «Non hai cinque anni, cresci.»
Davide lo fissava incredulo. Manolo stizzito se ne andò via dal campo. Cesare lo seguì fino agli spogliatoi, dove lo trattenne stringendogli un braccio.
«Ma che hai?» gli chiese confuso. «È da una settimana che ti comporti in modo strano. Stai bene? È successo qualcosa?»
Manolo non osò guardarlo negli occhi e Cesare sbuffò grattandosi la testa.
«Io proprio non ti capisco. Come faccio ad aiutarti se non mi parli? Ci sono problemi a lavoro? O hai ricevuto cattive notizie da Madrid? Insomma, che ti prende?» sbottò infine innervosito dal suo silenzio. Manolo serrò le labbra e incrociò le braccia.
Cesare si strinse nelle spalle e scosse la testa tra sé.
«Quando sarai pronto fammi un fischio» disse tornando al campetto.
Manolo si coprì il volto con le mani, vi buttò fiato caldo e riavviò i capelli all'indietro. Gli tornò in mente tutta la serata del bacio come se si fosse stampata in modo indelebile nella sua memoria.
Ogni minuzia - dal risciacquo dei bicchieri sul lavandino del bar ai vapori e odori provenienti dalla cucina poco più in là, dal chiacchiericcio della gente in sottofondo alla porta che si apriva trascinando con sé una lieve brezza proveniente da fuori - gli sembrava un elemento fondamentale di quell'incontro che ormai gli pareva cruciale.
«Ragazzi ascoltate» aveva esordito Cesare interrompendo le discussioni e levando in aria la propria birra, «Vorrei fare un brindisi al nostro primo incontro.» Non avrebbe potuto usare parole involontariamente più amare, anche la birra assunse per Manolo un sapore acre in quel momento.
Tutti alzarono i boccali e dopo un comune cin bevvero di gusto.
«Mi piacerebbe anche programmare il primo allenamento per la prossima settimana, se a voi sta bene» aveva aggiunto poi il futuro allenatore con letizia. I ragazzi accettarono di comune accordo e la serata continuò tra chiacchiere e fiumi di birra. Il pub si trasformò nel loro piccolo teatrino di orgoglio calcistico.
«Come hai fatto a capire che ero io Fabrizio fra tutti quanti?» chiese il ragazzo ingollando il terzo boccale di seguito - sembrava abituato al nettare di Cerere, perché era l'unico ancora ad apparire totalmente sobrio. Il rituale del padre lo aveva assuefatto a tal punto alla bionda spuma che ormai era come se bevesse acqua.
«Beh, l'Arcigay mi aveva detto che avevi giocato come professionista in passato e sei il più grande di tutti gli altri» ammise con un po' di imbarazzo. «Non c'è voluto molto a capire che fossi tu.»
«Ok. Dunque io sono il vecchietto della squadra?» rise tra sé il ragazzo e Cesare lo seguì a ruota.
«Siamo in due allora, amico.»
L'atmosfera si fece man mano sempre più rilassata e il gruppo parve integrarsi bene. Cesare osservò i ragazzi ed ebbe la sensazione che finalmente era sulla giusta strada. Notò anche che Manolo fissava Davide, ma era un'abitudine che sembrava non essersi tolto dacché lo conosceva. Lo infastidiva un po', ma si fidava di lui e dopo tutti quegli anni ormai non aveva dubbi sulla sua fedeltà. Si accorse anche del calore con cui Alessandro e Antonio si facevano spalla l'un l'altro e per un millesimo di secondo ebbe quasi la sensazione che fossero una coppia, ma non volle indagare. Fabrizio si trovò curiosamente a suo agio all'interno del gruppo. Era sempre stato un po' diffidente nei confronti degli omosessuali, pur non avendo nulla in contrario. Si rendeva però conto adesso che non poteva fare di tutta l'erba un fascio e che in fin dei conti quelli sembravano proprio dei bravi ragazzi. Cesare, poi, era stato molto accogliente ed era certo che lo avrebbe accettato senza difficoltà come nuovo allenatore.
«Ho giocato negli esordienti» disse Davide tra una birra e l'altra, «Ma mi sono ritirato dopo sei mesi perché ho avuto un incidente al ginocchio.»
«E ora puoi giocare tranquillamente?» chiese Antonio che per tutta la sera gli era rimasto attaccato, innescando un'inconscia punta di gelosia in Manolo.
«Credo di sì, ogni tanto faccio delle partite con gli amici e il problema non si è presentato più» rispose finendo di scolarsi il boccale. Poi rivolse lo sguardo verso la destra di Cesare, lì sostava Manolo, nascosto come un coniglio dentro una tana.
Davide sentiva di averlo messo in difficoltà baciandolo e si rendeva adesso conto che la cosa avrebbe potuto comportare dei problemi più in là se le carte fossero state scoperte. Era tuttavia altrettanto convinto che Manolo non avrebbe parlato - e lui di certo non avrebbe aperto bocca a riguardo -, perché gli era parso che anche lui ricambiasse quel bacio e quindi era ugualmente colpevole. Si disse che ci avrebbe pensato solo al momento dovuto e finché Manolo avesse mantenuto il segreto lui avrebbe fatto lo stesso.
Tornato a casa a serata finita aveva però un pensiero costante in testa. Quegli sguardi lanciati come un amo e poi il bacio gli avevano messo la pulce nell’orecchio. Così aveva cominciato a chiedersi se davvero quella fosse una coppia felice, forse stavano assieme da poco o magari da troppo e Manolo si era stufato.
Lui non era tipo da sfasciare una coppia e non si sarebbe intromesso oltre. Ma se Manolo era infelice? L'avrebbe privato dal negarsi la felicità?
Scosse la testa e si disse che era solo uno schifosissimo egoista e che la verità era che Manolo gli piaceva e anche molto. Di rado aveva incontrato ragazzi così belli. Era rimasto ammaliato dal suo fascino esotico. Prima di addormentarsi si abbandonò ad alcune fantasie su di lui e sognò con un sorriso deliziato stampato sul volto.
Quando Manolo e Cesare tornarono nell'appartamento che avevano affittato assieme, il primo andò subito a chiudersi in bagno e l'altro si gettò esausto sul letto. Si sentiva soddisfatto della serata e del gruppetto che si era creato. Era convinto che potesse nascerne non solo una bella squadra, ma anche una comitiva di amici. L'idea lo entusiasmava.
Era vero quello che ormai da tempo gli si palesava in mente. Non gli bastava più allenare pulcini, voleva avere a che fare con una squadra vera. La cosa poteva prendere piede più velocemente di quanto pensava se i ragazzi si fossero dimostrati validi.
Fino ad allora per gli allenamenti con i piccoli era stato abituato a creare percorsi per le esercitazioni usando coni colorati, organizzando mini partite in cui i bambini dovevano effettuare dei passaggi tenendo a mente alcune piccole regole, come per esempio non passare la palla a chi l'aveva appena passata o non indugiare nel trattenerla per più di qualche secondo. Organizzare una seduta di allenamento con degli adulti prevedeva tutta un'altra programmazione. Se avesse proposto gli stessi esercizi gli avrebbero riso in faccia e lui avrebbe perso l'aspetto professionale che aveva acquisito quella sera ai loro occhi.
Se da allenatore di bambini si fosse dimostrato capace di portare avanti anche una squadra professionale lo avrebbe scoperto solo provando. Era l’inizio di una nuova epoca, lo sentiva, quella in cui sarebbe riuscito a creare dall’impossibile l’incredibile e a tirar fuori dal nulla una squadra di persone ambiziose, pronte a confluire tutta la loro passione in un progetto che poteva avere un forte impatto sulla società.
Manolo si diede una rapida sciacquata al volto per togliersi quella sensazione di disagio che da tutta la sera lo devastava. Era stato poco socievole quella sera, o almeno con buona parte del gruppo. Con Davide poteva dire di essersi spinto anche troppo oltre il semplice scambio di chiacchiere.
Tornato in camera con quella sensazione di pesantezza di cui non riusciva a sbarazzarsi, si sdraiò accanto a Cesare e questi lo cinse a sé, poi lo baciò sulla guancia. Manolo si voltò verso di lui, lo fissò negli occhi e non potendo sopportare quello sguardo d'amore incondizionato chiuse gli occhi e lo baciò sulle labbra. Si abbandonarono a un amplesso passionale e nel frattempo le guance di Manolo si rigarono silenziosamente di lacrime, perché tutto ciò a cui riusciva a pensare mentre faceva l'amore col proprio ragazzo era Davide che si faceva spazio dentro di lui.
Ora, mentre si trovava dentro gli spogliatoi dopo l'attacco feroce ad Antonio, l'idea lo sconcertava un po' e non tanto perché fosse in sé sbagliata, quanto perché si rendeva sempre più conto di volerla realizzare concretamente.


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