mercoledì 21 gennaio 2015

TACCHETTO 12 - CAPITOLO 6: IL PRIMO INCONTRO

Il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12" tutto per voi. Godetevelo :)

6
IL PRIMO INCONTRO



«Sei pronto?» chiamò Cesare dall'altra stanza.
«Sì» rispose Manolo dandosi un'ultima sistemata al ciuffo ingellato.
Presero le chiavi dell'auto e si avviarono verso la scalinata Alessi. Il primo incontro con i futuri giocatori della squadra era stato stabilito per le undici di sera al Nievski, il pub che si trovava proprio sotto le scale.
Cesare era emozionato, lo si vedeva da come guidava. Anche Manolo lo era, ma per motivi diversi.
Quando arrivarono al pub si guardarono attorno, nella speranza di trovare i ragazzi in questione. Si erano dati appuntamento dentro il locale. Non sembrava però essere arrivato ancora nessuno.
«Sei sicuro che abbiano dato conferma?» chiese Manolo. «Joder! Odio aspettare la gente.»
Cesare roteò gli occhi. «Detto da te che ci stai tre ore a prepararti...»
«Mi piace essere perfetto.»
«Ma lo sei» disse schioccandogli un rapido bacio sulle labbra.
Presero posto al bancone del pub e ordinarono due cervezas.

Alessandro cercò di far partire l'auto, ma proprio non voleva saperne. "Proprio stasera si doveva scassare 'sto catorcio!" pensò colpendo il manubrio con una manata. "Antonio ci tiene ad arrivare puntuale" si disse scoraggiato. Prese il cellulare e lo chiamò.
«Ma dove sei? È da mezzora che ti aspetto!»
«Lo so, indovina?»
«No, non me lo dire! La vecchia ha fatto cilecca. Porca miseria! Proprio adesso! E come se non bastasse la nostra auto l'ha presa Lucia per uscire con le sue amiche. E ora che facciamo?»
«Io posso andare a piedi ma tu? Pensi di riuscire a prendere un urbano? Oppure un taxi?»
Ad Antonio fuoriuscì una risata secca. «Seee! Vengo con la limousine quasi quasi.» Sospirò. «D'accordo, vedo se riesco a trovare un bus. Tu puoi aspettarmi alla fermata di Piazza Borsellino? Così andiamo assieme.»
«Certo, ti aspetto lì.»

Il cinquantino sfrecciava per Viale Rapisardi a tutta velocità. Su di esso Fabrizio aveva un'apparenza un po' goffa, un ragazzo muscoloso e dall'aspetto imponente come lui faceva una strana impressione su un mezzo di quel tipo.
Il cuore gli batteva forte. Sentiva che quella avrebbe potuto essere la sua ultima occasione per giocare in una squadra. La scoperta che fosse stata organizzata dall'Arcigay fu all'inizio una vera e propria sorpresa, ma non si lasciò demoralizzare. Era disperato e non voleva lasciarsi sfuggire quell'opportunità. Per cui sarebbe andato all'incontro e se poi si fosse sentito troppo a disagio allora avrebbe lasciato perdere. Non voleva risultare omofobo o intollerante, ma il fatto di essere preso per gay non gli andava molto a genio.
Stava facendo un tentativo per il proprio futuro e se fosse stato necessario avrebbe finto, sì, se non lo avessero accettato in squadra solo perché era eterosessuale non se lo sarebbe perdonato. Era disposto a tutto pur di rimettersi in gioco.

Manolo aveva appena terminato la propria birra, annoiato e stanco di aspettare disse a Cesare che andava in bagno. Mentre saliva la scalinata che portava alla toilette incrociò la sua strada un ragazzo alto e di bell'aspetto. Aveva una folta barba e i capelli tagliati alla moda. Manolo lo fissò insistentemente e questi gli rivolse uno sguardo malizioso. Dopo essersi incrociati si voltarono entrambi per squadrarsi una nuova volta. Manolo delineò un sorriso sulle labbra carnose e continuò a salire le scale. Il ragazzo si fermò un momento, poi lo seguì.

L'urbano si fermò a Piazza Borsellino. Antonio scese guardandosi a destra e a manca in cerca dell'amico. Vide Alessandro seduto su una panca intento a leggere dei messaggi al cellulare.
«Ehi» gli disse avvicinandosi. Alessandro alzò lo sguardo e parve illuminarsi al solo vederlo.
«Scusa se ti ho fatto aspettare tanto, ma lo sai come va ogni volta con questi bus. Ne passa uno ogni morto di papa.»
Alessandro sorrise e fece segnò che non importava. In fin dei conti era in parte anche colpa sua, se i suoi genitori gli avessero comprato un'auto nuova tutto ciò non sarebbe successo. Si era accontentato di quel catorcio per avere un mezzo con cui spostarsi senza dover necessariamente dipendere da loro o da Antonio, ma alla fine non era servito a niente.
Di fretta si misero per strada, avevano già quasi un'ora di ritardo.
«Prendiamo di qua, è una scorciatoia. Faremo prima» propose Antonio.
Alessandro annuì e lo rincorse.

Cesare tamburellava le dita sul bancone del bar. Guardò l'orologio, era già mezzanotte meno un quarto. Si domandò se non gli avessero volutamente dato buca. Magari qualcuno era passato, aveva visto solo lui e se n'era andato pensando che non fosse una cosa seria. L'attesa lo snervava. Decise di prendere un'altra birra. Mentre il barman gliela serviva ebbe modo di pensare alle parole da usare quando e se si fossero presentati i ragazzi. Voleva risultare professionale, seppure il progetto fosse ancora meramente amatoriale.
Sperava non fossero un mucchio di incapaci, o peggio qualcuno troppo convinto. Con i bambini era più facile avere a che fare. Stimavano la sua autorità, sapeva come coinvolgerli per far sì che lo prendessero sul serio, ma con persone adulte era una cosa nuova e non era detto che le cose andassero come immaginava. Incrociò le dita e poi prese un sorso di birra.

Fabrizio parcheggiò il motorino in fondo alle scalinate. Ripose il casco nel vano sotto il sedile e si diede una veloce occhiata allo specchietto. Si vide teso e lo era. Prese un profondo respiro e salì velocemente le scale. Oltrepassò i tavolini posizionati fuori dove la gente stava cenando ed entrò nel pub. Subito gli fece una strana impressione. Non era mai stato in quel posto e se lo immaginava diverso vista la clientela che di solito lo frequentava. Lo trovò accogliente, di casa. Sparse un po' ovunque immagini satiriche e simbolismi comunisti. C'era un ritratto di Lenin appeso a un muro e un po' ovunque utensili da cucina erano stati utilizzati per costruire lampade, corrimano e cose del genere. Lo trovò parecchio originale.
Guardandosi attorno cercò un gruppetto che potesse sembrare una squadra di calcio, ma vide poca gente. Al bancone una ragazza vestita in modo provocante stava discutendo animatamente con un uomo parecchio più grande e rideva sguaiata. C'era un tizio che beveva una birra tutto solo e un gruppetto di uomini - tre - che ridevano e scherzavano tra loro. "Eccoli" pensò e prendendosi di coraggio si avviò verso di loro.

Manolo uscì dal bagno e si trovò davanti il ragazzo che poco prima aveva incrociato sulle scale. Sussultò e si portò una mano al petto.
«Joder! Mi hai fatto venire un colpo!»
Il ragazzo in risposta sorrise.
«Ti dispiace?» gli chiese facendogli segno di spostarsi dal lavandino. Il ragazzo si scostò e lo lasciò lavarsi le mani. Manolo lo osservò dallo specchio e il ragazzo lo fissò a sua volta. Quando si voltò asciugando le mani su un pezzo di carta piegò leggermente la testa di lato. «Ci conosciamo?»
«No, ma ti ho visto spesso in giro. Solo che tu non mi hai mai notato. Io sono Davide» disse porgendogli la mano.
«Manolo.»
«Manolo. Non è un nome straniero? Spagnolo, vero? Si sente dall'accento.»
«Sei perspicace oltre che carino.»
Il ragazzo gli mostrò un sorriso smagliante e Manolo ne fu in qualche modo rapito. Non aveva mai visto un sorriso bello come quello. Lo guardò dritto negli occhi e si sporse leggermente in avanti per congedarsi da lui e tornare al piano di sotto. Ma Davide lo prese come un segnale e si avvicinò a sua volta, quindi lo baciò.

«Dai corri, siamo in ritardissimo!» esclamò Antonio guardandosi indietro. Alessandro lo seguiva sfiancato. Si fermò tenendosi sulle ginocchia e prese ampi respiri.
«Tu mi farai morire, lo so.»
«Suvvia! Se ti stanchi per questa corsetta come farai durante gli allenamenti?»
Alessandro annuì. «Forse non è stata una buona idea iscrivermi.»
Antonio lo prese per il risvolto del giubbotto e lo trascinò.
«Hai solo messo su un po' di ciccetta natalizia. La smaltiremo facendo corsa. Ti rimetto in sesto in quattro e quattr'otto.»
«Tu hai decisamente voglia di uccidermi» rispose Alessandro ansimando.
Ripresero a correre e svoltando l'angolo si trovarono davanti un tipo dall'aria poco rassicurante.

«Ciao» disse Fabrizio al gruppo. Sembrava impacciato e non era da lui.
I tre uomini lo guardarono e squadrarono da testa a piedi. Uno di loro, poggiandogli la mano sulla spalla, lo fissò con lascivia e gli disse: «Ma ciao!»
«Io sono Fabrizio, voi siete...» Non riusciva a trovare le parole per esprimersi. Non era decisamente il tipo di situazione in cui si sentiva a suo agio.
«Siamo qui per te, bel ragazzone» rispose l'uomo, un tipo impostato, coi capelli brizzolati e una barbetta incolta, anch'essa brizzolata.
«Ok» fu tutto ciò che riuscì a rispondere Fabrizio. «Quindi che si fa?»
«Non lo so, caro. A te cosa va di fare?»
«Ne parliamo un po'? Per capire meglio la cosa e organizzarci.»
«Sei un tipo che la tira per le lunghe. Va bene. Di che vuoi parlare?» chiese con tono fascinoso.
«Non so, le esperienze passate sul campo magari. Voi ne avete?»
Gli uomini scoppiarono a ridere.
«Puoi dirlo forte, ragazzo» rispose un altro del gruppo, un tipo con degli occhiali molto sottili e due occhi di un azzurro impressionante. Anche lui sembrava avere la stessa età degli altri, erano più o meno tutti e tre sulla quarantina.
«Ah perfetto. Così sarà più facile per tutti» disse Fabrizio, anche se rassicurato solo di poco. Il brizzolato continuava ad accarezzargli la spalla con la sua mano robusta e la cosa cominciava a infastidirlo.
«Per tutti?» chiese il terzo uomo. «Questo qui sì che parla come si deve! Insieme sarà più bello, certo» disse poi con malizia rivolgendosi direttamente a lui.
Fabrizio corrugò la fronte, ma non diede peso alle sue parole.
«Ci prendiamo una birra? ...Per scioglierci un po'» propose. I tre annuirono soddisfatti e ordinarono da bere.

I due ragazzi fermarono improvvisamente la propria corsa. Fecero per oltrepassare l'uomo, ma questi bloccò loro la strada.
«Siamo di fretta, potresti farci passare per piacere?» chiese Antonio.
«Mi date qualcosa? Per mio figlio.» Rovistò nelle tasche e ne uscì una fotografia logora e vecchissima.
«Cavolo, deve avere più anni di te "tuo figlio"» replicò scettico Antonio.
L'uomo non colse la provocazione e insistette, ma i due ragazzi rimasero immobili. Quindi l'uomo si inferocì.
«Nisciti i sordi!» esclamò.
Alessandro sgranò gli occhi e Antonio parve non aver capito bene.
«Aspetta un attimo, ci stai rapinando?» chiese incredulo.
«Liestu, nesci i sordi o ti 'mazzu!» insistette tirando fuori di tasca un coltellino.
Alessandro impaurito fece per tirare fuori il portafogli, ma Antonio lo fermò.
«Ci mancava sulu chistu stasira» disse digrignando i denti. «Leviti ri menzu.»
L'uomo si preparò a sferrare il colpo, ma Alessandro tirò a sé Antonio e poi lo spinse a muro. Il rapinatore si avventò contro di lui e finirono per terra. Alessandro lo trattenne prima che potesse accoltellarlo e gli sferrò un calcio in mezzo alle gambe. L'uomo si accasciò di lato dolorante, Antonio aiutò l'amico a rialzarsi da terra e prendendolo per mano si misero a correre a perdifiato lungo quel corridoio stretto che era diventata la strada.

Mentre la lingua di Davide si faceva spazio nella bocca di Manolo, a quest'ultimo come in un flashback tornarono in mente tanti momenti del passato che pensava di avere ormai dimenticato. I ricordi vennero a galla con tale prepotenza che gli fecero quasi male. Era la prima volta che tradiva Cesare, non si era mai spinto tanto oltre. Da cinque anni erano una coppia modello, ammirata da tutti per la longevità del loro rapporto e per l'affiatamento con cui conseguivano nel portarlo avanti.
D'un tratto gli vennero in mente tutte quelle nottate passate in chat a chiacchierare e poi quella volta che Cesare gli aveva detto che sarebbe tornato a trovarlo in Spagna. Alla fine era stato lui però a fargli una sorpresa e si era spinto fino a Catania per una breve vacanza.
La città lo aveva affascinato e gli erano piaciuti molto i ragazzi del posto, ma Cesare sembrava avere altri piani. E quella che inizialmente era stata una semplice amicizia online, si trasformò in quei giorni in una breve avventura amorosa. Solo che al ritorno in Spagna Manolo sentì di aver lasciato una parte di sé in Sicilia. Così tutto per la prima volta gli fu veramente chiaro e decise di andare in Erasmus. Era l'unica scusa che poteva usare per tornare dal suo innamorato.
Al termine del suo periodo d'Erasmus era stato costretto a tornare in Spagna. Era stato difficile separarsi da Cesare, seppure questi gli avesse promesso di andare da lui non appena si fosse liberato dal lavoro. Così Manolo era tornato a malincuore alla sua vita di prima. Erano stati otto mesi insieme e temeva che la loro relazione si riducesse a quel breve periodo d'amore. Ma pian piano Madrid gli divenne sempre più stretta e si fece spazio in lui una decisione drastica.
Lasciò l'università e si trasferì definitivamente a Catania per vivere con Cesare. Questi non aveva approvato la sua decisione, ma ormai era troppo tardi per rimediare e comunque era felice di averlo di nuovo accanto.
Da allora erano passati cinque anni ed erano stati anni felici, divertenti, spensierati. Ora che ci pensava erano passati anche troppo in fretta, era stato tutto troppo bello e ora? Quegli ultimi mesi erano stati noia? Sentiva di aver perso un po' di quell'entusiasmo iniziale, ma non tanto da spingersi a un gesto del genere.
Scosso da quei pensieri e preoccupato dalle conseguenze che potevano comportare le sue azioni si staccò di colpo da quel bacio e si scusò col ragazzo, lasciandolo da solo in bagno mentre lui riscendeva velocemente le scale.

Cesare si domandò che fine avesse fatto Manolo. Erano quasi dieci minuti che era in bagno. Mancavano cinque minuti a mezzanotte e ormai temeva di aver fatto un buco nell'acqua. Non sarebbe venuto nessuno all'appuntamento. Ormai ne era convinto.
Mentre sorseggiava la sua birra sentì le chiacchiere di un gruppo di uomini seduti al bancone poco distante da lui. Facevano discorsi palesemente sessuali senza alcun ritegno, li guardò con sdegno e si voltò dall'altro lato. Non gli erano mai piaciute le persone così esplicite.
Ad attirare la sua attenzione fu però una frase del più giovane tra loro.
«Quando si comincerà a giocare?»
I tre uomini lo accarezzavano in modo fin troppo esagerato e il ragazzo sembrava palesemente a disagio, ma non fiatava e subiva cercando di sviare il discorso altrove - o almeno così parve a lui.
«Possiamo giocare anche fra poco se ti va. Il tempo di bere i nostri cocktail» rispose tra gli uomini quello che aveva barba e capelli brizzolati.
«A quest'ora di notte? E dove? Non sono chiusi i campi?»
I tre lo guardarono straniti e a quel punto Cesare intervenne alzandosi e prendendo per le spalle il più giovane dei quattro.
«Ehi ciao!» esclamò. «Eccoti arrivato! Devi essere Fabrizio, il giocatore professionista.»
Questi parve sollevato nel riuscire a tirarsi fuori da quella situazione che si era fatta sempre più inquietante.
«Vieni vieni, ti aspettavamo!» continuò Cesare tirandolo verso di sé. «Scusate ragazzi se ve lo rubo, ma abbiamo cose importanti di cui parlare.»
«Eh, ma c'eravamo prima noi» borbottò quello dei tre che portava gli occhiali sottili.
Proprio in quel momento Manolo spuntò e fece per avvicinarsi a loro.
«Mi spiace, deve esserci stato un malinteso» si scusò Cesare. «Ecco, io sono l'organizzatore della squadra e ne sarò probabilmente anche l'allenatore.»
Fabrizio finalmente parve capire il grosso malinteso in cui era incappato e ripensandoci gli salì un brivido su per la schiena.
«Lui è Manolo, il mio boyfriend. Anche lui giocherà in squadra.»
Manolo gli strinse distrattamente la mano. Era ancora troppo preso da quanto era accaduto prima.
«Quindi al momento siamo solo in due a giocare?» chiese Fabrizio.
«Beh, c'erano altri tre iscritti a dire il vero, ma non sono ancora arrivati. Se sarà necessario mi metterò anch'io in campo» lo rassicurò.
Fabrizio annuì, ma non era ancora molto convinto della cosa.

Antonio e Alessandro arrivarono alle scale sudati e stremati. Non avevano mai corso tanto in vita loro. Alessandro si teneva il fianco e sembrava sul punto di stramazzare per terra da un momento all'altro. Aveva la faccia e le orecchie rosse e ciò fece ridere Antonio di gusto.
«Te... te la ridi.. te la ridi, eh?» fece ansimando e prendendo grande boccate d'aria. «Ti... ti faccio... ridere io. Tu e le tue scorciatoie del cavolo!»
Antonio si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla schiena.
«Ci hai salvato entrambi stasera, sei stato un vero eroe.» Gli schioccò un bacio sulla guancia e Alessandro parve riprendersi tutto d'un tratto.
«Figurati...» rispose imbarazzato grattandosi dietro la testa. «Sono stato preso dal panico e ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque... credo.»
Antonio lo prese a braccetto e insieme salirono le scalinate per dirigersi al Nievski.
Quando entrarono si guardarono attorno e videro della gente al bancone. Tre erano troppo grandi per essere calciatori - e i loro fisici lo dimostravano -, altri tre invece erano in forma e più giovani degli altri.
«Saranno loro?» si domandò Alessandro. L'amico si strinse nelle spalle e fecero per raggiungerli. Proprio in quel momento Alessandro si fermò nel vedere un ragazzo spuntare all'improvviso dal cortiletto interno che portava ai bagni. «Davide? ...Davide!» lo chiamò agitando la mano.
Il ragazzo si voltò verso di lui e sorridendo gli andò incontro.
«Quanto tempo! Che ci fai qui? Oh, scusami. Lui è Antonio, un mio amico.»
«Piacere» fece questi stringendogli la mano.
«Davide è un mio collega d'università. Abbiamo seguito le lezioni di storia il primo anno e poi... beh ci siamo persi di vista. Che fine hai fatto?»
«Mi sono messo sotto con lo studio» rispose sfoggiando il suo sorriso smagliante.
«Beato te, io sono un pigrone. Ancora ho dato pochissime materie» si imbronciò e Antonio lo sbeffeggiò facendosi una risata.
«Se vuoi qualche volta possiamo studiare assieme, magari ti presto i miei appunti.»
«Ti ringrazio!» esclamò sorpreso Alessandro. «Sei con i tuoi amici?»
Davide scosse la testa. «In realtà ero qui per un appuntamento con un gruppo di calciatori.»
Alessandro e Antonio sgranarono gli occhi e in coro risposero: «Anche noi!»
«Davvero? Forte! Non immaginavo che tu...»
Alessandro sorrise.
«Beh, a dire il vero neanch'io lo pensavo di te.»
«Ci siamo solo noi? Ho aspettato un sacco, pensavo non venisse più nessuno» fece Davide guardandosi attorno.
«In realtà abbiamo avuto un piccolo imprevisto, dopo ti racconto» spiegò Alessandro.
Tutti e tre insieme si diressero verso Cesare e gli altri e chiesero se fossero loro gli altri calciatori della squadra gay. Manolo impallidì nel vedere il ragazzo che aveva baciato solo due minuti prima stare adesso in mezzo a loro. E si rese conto di aver commesso l'errore più grande della sua vita.


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