4
CESARE
Nel campetto da
calcio i bambini scorrazzavano impazziti correndo dietro la palla dai pentagoni
neri e gli esagoni bianchi. Le loro risate, argentine come campanellini quando
segnavano, riempivano il cuore.
Cesare li vedeva
esultare nelle loro micro-uniformi, tutti contenti, e pensava che era bello
essere così spensierati. Si disse che stava facendo un buon lavoro, perché
l'importante non era forse che si divertissero?
Le mamme erano
state felici del progetto e i padri orgogliosi dei risultati che i loro piccoli
prodigi stavano ottenendo. Se solo questi ultimi avessero saputo che alcune
delle loro mogli ci avevano provato spudoratamente con lui!
Nonostante si
trattasse sempre di complimenti velati, a lui erano state chiare sin dal
principio le intenzioni, ma non gli importava molto, anche perché non avrebbe
saputo che farsene. Le donne non gli interessavano minimamente. Aveva iniziato
da poco una relazione seria con un ragazzo venuto in Erasmus a Catania, ma
questo ovviamente quelle madri non lo sapevano. La sua vita privata non le
riguardava. Teneva ben separato il lavoro da ciò che era la sua persona al di
fuori del campetto da calcio.
Aveva cominciato
a fare l'allenatore dopo aver conseguito la laurea in Scienze Motorie. Era poi
stato assunto dal Centro Universitario Sportivo di Catania per allenare i
piccoli talenti di domani. Ma covava ambizioni ben più impegnative. Dentro era
rimasto il gran sognatore che era stato da ragazzino e un sogno in particolare
gli frullava in testa da un pezzo.
L'idea era nata
in lui già diversi anni prima, quando aveva solo diciotto anni e non avendo un
vero e proprio talento nel calcio - ma conoscendone perfettamente tattiche e
regole - sperava un giorno di poter allenare una squadra. Non aveva avuto molto
incoraggiamento a riguardo. Era un progetto ambizioso, ma lui era sempre stato dell'idea
che con la giusta dose di determinazione sarebbe riuscito nell'impresa. E poi
serviva la pubblicità! La pubblicità era ciò che contava davvero per
concretizzare la cosa. Ne aveva avuto conferma leggendo di certe squadre che
erano sorte in alcune città italiane, quelle città in cui la discriminazione
non mancava di certo, ma in cui il progetto era stato realizzabile e aveva riscosso
successo grazie a tanta propaganda: una squadra di calcio omosessuale.
I King Kickers
di Milano erano stati tra i primi ad avere in mente un obiettivo di tale
portata. Ma nel meridione nessuno prima dei Pochos di Napoli aveva proposto
questa iniziativa.
Cesare aveva
seguito le notizie su internet, girovagando tra social network, blog e articoli
di giornale. E questo gli aveva dato il coraggio necessario per non abbandonare
la speranza e portare avanti la propria idea.
Era fermamente
convinto che con lo sport avrebbe potuto cambiare le cose, ribaltando le sorti dall'emarginazione
in cui continuava a vivere la comunità gay. Perché le cose potevano e DOVEVANO cambiare.
Sì, ma dall'interno, quella auto-ghettizzazione di cui si erano resi vittime
gli omosessuali doveva sparire. Ed era il risultato dell'estraniamento da certe
tradizioni sociali italiane, come il calcio ...per dirne una.
Quante volte si
era sentito allontanato perché amava uno sport che i più nel suo giro
sdegnavano? Quante volte si era dovuto trattenere dal raccontare i risultati
sportivi della giornata appena trascorsa per paura di annoiare gli altri? E
quante altre aveva dovuto fare i salti mortali per trovare qualcuno con cui
intrattenere una semplice conversazione calcistica mentre si trovava al pub del
Cortile Alessi a bere una birra?
Ora toccava a
lui portare avanti un'idea che era dannatamente buona, ma allo stesso tempo
anche dannatamente complicata da mettere in pratica. Non tanto perché fosse
difficile in sé, quanto perché trovare ragazzi gay interessati al calcio era
come cercare un ago in un pagliaio.
Non sapeva
ancora come si sarebbero sviluppate le cose, perché avrebbe avuto a che fare non
più con bambini, ma con persone adulte di diverso background sociale e
culturale.
Aveva iniziato
da un semplice annuncio. Un annuncio in cui si chiedeva l'adesione gratuita e
senza remunerazione in una squadra di calcio dilettantistica. Per rendere le
cose più semplici aveva coinvolto l'arcigay di Catania grazie alle proprie
conoscenze.
Era già passato
quasi un anno e le sue sporadiche visite alla sede di via Vittorio Emanuele II
non avevano ancora sortito un riscontro positivo.
Il Capodanno era
passato tra i soliti festeggiamenti e il suo buon proposito per l'anno a venire
era stato quello di realizzare il progetto. Se non vi fosse riuscito avrebbe
smesso di fare buoni propositi e costruire castelli in aria.
Anche quel
pomeriggio si era recato all'arcigay, dove aveva incontrato il ragazzo dai
capelli bruni e dalle profonde occhiaie che lo aveva accolto la prima volta
mesi prima. Voleva solo sapere se c'erano novità e già si aspettava un
rassegnato no con un cenno del capo, ma con sorpresa aveva già trovato tre
iscritti.
Rincuorato si
disse che a quel punto scovare giocatori per creare una squadra era solo
questione di tempo. Bisognava però raggiungere il numero minimo. Altrimenti non
se ne faceva niente.
Però in qualche
modo c'era riuscito. Alla fine qualcuno l'aveva trovato anche se a rispondere
all'annuncio erano stati solo in tre - quattro se contava anche il proprio
ragazzo, che però evidentemente non aveva ancora trovato il tempo per mettersi
in lista. Lo avrebbe informato.
Quattro
giocatori. Era già qualcosa.
Aveva pensato di
indire una riunione per conoscere i ragazzi, in modo da scoprire con chi
avrebbe avuto a che fare e anche capire se facevano seriamente. Non voleva
ritrovarsi con un mucchio di ragazzi eccitati solo dall'idea di andare negli
spogliatoi per fare qualcosa di più che cambiarsi la divisa.
Ma voleva
aspettare ancora un po', il tempo che si iscrivesse qualcun altro. Ne sarebbero
bastati solo un paio e poi avrebbe potuto concretizzare qualcosa.
#FabDraka #GayCalcio #Tacchetto12
Nessun commento:
Posta un commento