domenica 14 dicembre 2014

TACCHETTO 12, CAPITOLO 3: ANTONIO


Ecco con un po' di ritardo il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12". Oggi si parla un po' di Antonio, uno dei personaggi presentati nel capitolo precedente. Gustatevi questo nuovo "episodio" e condividete ;)

CAPITOLO 3

ANTONIO



«E che passioni hai oltre i manga e gli anime?» gli aveva chiesto Alessandro.
«Forse non ci crederai» rispose Antonio, «Perché magari tu mi vedi così e pensi che sia un po' effemminato... Però beh, mi piace il calcio.»
«Sei un gay anomalo.»
Antonio rise. «Lo so, me lo dicono tutti.»
«Non c'è nulla di male nel fatto che ti piaccia il calcio» osservò Alessandro.
«Lo penso anch'io, ma sai la nostra società è così ghettizzata! Non ti puoi muovere di una virgola dal cliché che ti hanno appioppato che vieni subito additato.» Scosse la testa fra sé. «È così deprimente.»
«Ti capisco. A me hanno affibbiato la figura di secchione alle elementari e non sono riuscito più a levarmela di dosso» si imbronciò. Antonio lo fissò e pensò che fosse buffo.
«Neanche nell'essere un secchione c'è nulla di male» lo rincuorò, «La cultura paga. O almeno lo farebbe in un Paese civilizzato, che non è il nostro caso, ma ti pone comunque un gradino più in alto rispetto agli altri. È un vantaggio. Chi ti giudica spesso lo fa perché ti invidia» gli disse facendogli un occhiolino.
«Forse hai ragione» si convinse Alessandro. «E sai che ti dico? Che alla prima partita che fanno al Massimino verrò con te!»
Antonio stese la mano e ci sputò sopra. «È una promessa.»
Alessandro guardò quella mano inumidita con un po' di sdegno, ma sputò a sua volta sulla propria e gliela strinse.
Da allora quando il Catania giocava in casa non perdevano occasione per comprare i biglietti e sedersi in curva a tifare quella che già per Antonio era la squadra del cuore e che per Alessandro lo sarebbe presto diventata.
Antonio proveniva da una famiglia di Librino, un quartiere nato alla periferia della città e progettato dall'architetto giapponese Kenzo Tange. Era stato questo particolare a destare la curiosità del ragazzo verso la cultura giapponese, che volle negli anni approfondire, a cominciare dai manga, che davano il perfetto background culturale per un otaku ancora alle prime armi. Si era poi portato avanti con la letteratura, leggendo romanzi di Banana Yoshimoto, Yukio Mishima, Haruki Murakami e ultimo, ma non per questo minore, Koji Suzuki.
Il suo sogno più grande era stato da sempre quello di andare in Giappone ed entrare nei Samurai Blue - come veniva comunemente chiamata la Nazionale di calcio giapponese.
L'idea era nata quando aveva visto per la prima volta in tv "Holly e Benji". Li aveva visti giocare e aveva pensato "Io voglio giocare in una squadra così", pur rendendosi conto che quello era solo un cartone animato e che la reale squadra nazionale giapponese giocava in modo pessimo.
Così aveva iniziato ad allenarsi nel cortile di casa con la sorella minore, che a quei tempi aveva solo due anni. Le diceva di dare un calcio alla palla e lui l'avrebbe presa al volo. Ogni tanto sua sorella tirava così piano che lui aveva anche il tempo di fare il rallenty e si sentiva un po' come dentro il cartone animato. Sua sorella apprezzava tantissimo la performance e ogni volta si sganasciava dalle risate.
La sua era una famiglia umile, sua madre era casalinga e suo padre un commerciante che vendeva verdura al mercato di piazza Carlo Alberto. Ogni tanto era andato ad aiutarlo, ma aveva smesso quando giornalmente dei ragazzini per prenderlo in giro avevano continuato a chiedergli "A quanto la vendi la banana?"
Così aveva iniziato a prendere in considerazione il mestiere della sorella maggiore Lucia. Faceva la sarta e aveva iniziato quell'attività da piccola, confezionando abitini per le bambole e le Barbie delle sue compagne di scuola e della sorellina (con cui segretamente giocava anche Antonio). Da grande aveva poi seguito dei corsi, che il padre aveva pagato a prezzo d'oro, ma che non le avrebbe mai negato. Era disposto a fare di tutto pur di aiutare i propri figli a costruirsi un futuro. Così non aveva preso con dispiacere la decisione del figlio di seguire i passi della sorella. E quando lei aveva aperto la sartoria lui l'aveva aiutata, imparando le tecniche, procacciando clienti, facendole pubblicità tramite internet.
Sua sorella era bravissima nel cucito, ma mancava di una cosa che lui invece possedeva in quantità esorbitante: la fantasia.
Presto aveva cominciato a disegnare i bozzetti degli abiti e le clienti si erano dimostrate spesso soddisfatte dei loro lavori. Poi un giorno era entrato lui, un ragazzo dai capelli lunghi e dai tratti efebici. In un primo momento la sorella l'aveva scambiato per una ragazza, facendo una gaffe terrificante che non si sarebbe mai perdonata. Ma il ragazzo non si era offeso e aveva anzi commissionato loro proprio un abito da donna. Si era fatto prendere le misure sotto l'occhio attento ma inquisitore di Lucia ed era uscito dal negozio salendo su una panda tutta sgangherata.
Antonio l'aveva seguito per lasciargli il loro biglietto da visita (e anche un po' per curiosità). Entrambi non avevano fatto altro che guardarsi tutto il tempo mentre la sorella misurava braccia, gambe, busto e quant'altro.
Si erano intesi a vicenda, il segreto di pulcinella era saltato all'occhio subito e si erano scambiati i numeri. Quando Antonio era stato chiamato personalmente per lavorare ad altri abiti aveva finalmente compreso a cosa servissero. Quel ragazzo che era entrato in negozio non era altri che una delle drag queen del locale gay più conosciuto della città.
Aveva cominciato a lavorare per loro, accostando l'attività di costumista a quella che svolgeva con la sorella.
Per un po' le cose erano andate per il verso giusto, poi qualcuno aveva fatto la spia. Avevano scoperto che Antonio lavorava per i "froci" e che anche lui era un "finocchio patentato".
Un giorno non mancarono di riferirlo anche al padre, proprio lì al mercato, quando avevano visto Antonio portargli una delle casse di frutta che si era dimenticato in garage.
«Signor Privitera» aveva cominciato uno dei commercianti, «Ci l'aviti nu beddu finucchieddu?» Il padre aveva guardato l'uomo in modo torvo. Sapeva quali erano le voci che giravano sul conto di suo figlio, ma non aveva mai dato peso ai pettegolezzi.
«Talè! Ci n'é unu cà!» aveva esclamato l'uomo prendendo Antonio per le spalle e facendo capolino sulla sua spalla. «E pari beddu friscu!»
Gli altri commercianti si erano messi a ridere e il padre aveva cominciato a innervosirsi.
«Lassa stari ma figghiu» gli aveva ordinato.
«Bii! Privitera ti 'ncazzasti? A stava schirzannu!»
Antonio si scrollò le spalle e si voltò verso l'uomo.
«Si mi tocchi arrera ti spaccu u culu» gli disse arrabbiato.
L'uomo si mise a ridere di gusto.
«A beddu, forsi ca forsi è chiù probabili ca tu spaccu iu.»
A quel punto il padre si era precipitato in mezzo alla piazza e la gente che aveva assistito alla scena già pregustava la rissa, ma Antonio lo aveva tenuto fermo dicendogli di lasciar perdere.
«Fatti i cazzi to'» rispose Antonio al commerciante, «Ca iu mi fazzu i mei.»
A quel punto fraintendendo la frase - che volutamente o meno Antonio aveva espresso in modo ambiguo - i commercianti presero a deriderlo e sbeffeggiarlo.
«Chistu è ma figghiu e si è puppu o no a mia nun mi ni futti nenti. Taliativi viautri, minchiuni!» lo difese il padre a spada tratta.
Si era messo contro un sacco di gente, forse minando anche la propria attività e Antonio ne era rimasto sorpreso. Non avrebbe mai creduto suo padre capace di mettersi contro il senso comune e di patteggiare per lui in una cosa tanto difficile da digerire. Eppure così era stato e dopo che lo aveva difeso il padre si era voltato verso di lui e lo aveva abbracciato.
«Ti voglio bene» gli aveva detto, «Così come sei. Sono orgoglioso di te.»
Antonio venne travolto dai sentimenti e piangendo a dirotto lo aveva stretto forte a sé. I commercianti avevano assistito a quel piccolo gesto d'amore e una signora che vendeva frutta lì vicino si era commossa e aveva cominciato a battere le mani. Altri la seguirono e il commerciante che aveva iniziato la baruffa se ne tornò alla propria bancarella con la coda tra le gambe.

Da quel momento il signor Privitera aveva sempre appoggiato il figlio, accompagnandolo perfino ai gay pride che si erano tenuti in città. Sin dai primi anni di fanciullezza gli aveva insegnato che bisognava lottare per la libertà ed entrambi ci credevano ancora fermamente.


#FabDraka #Tacchetto12 #GayCalcio

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